Intervista a Giovanni De Carolis, ex campione mondiale di pugilato

Intervista a Giovanni De Carolis, ex campione mondiale di pugilato

24 Marzo 2021

Il pugilato, uno sport per crescere, una metafora di vita, per diventare uomini, prima di campioni

Abbiamo incontrato il noto pugile italiano nella palestra Roma XI, dove si allena in vista degli incontri che lo vedono protagonista dei maggiori match internazionali. Il due volte Campione WBC Mediterranean e ex Campione del mondo di Boxe nella categoria pesi supermedi, Giovanni De Carolis, si racconta ai nostri microfoni restituendo il ritratto di uno sportivo dalla grande passione e umanità.

Come è nata in te la passione per il pugilato? Chi erano i tuoi esempi quando hai iniziato?

Ho iniziato per caso, dato che facevo un altro sport, il calcio. Ero esile e volevo irrobustirmi un po’. Così sono entrato in una palestra e, mentre ero in sala pesi, ho visto come ci si allena in una sala di pugilato: è stato un colpo di fulmine e da lì non ho più smesso. Quando sono venuto in questa palestra non avevo degli idoli in particolare a cui mi ispiravo, erano i miei Maestri i miei punti di riferimento e seguivo i loro insegnamenti. Ogni campione mi dava uno stimolo, fisicamente o tecnicamente, ma la mia guida sono sempre stati i miei Maestri.

Pur essendo uno sport in cui si fronteggia l’avversario da soli, dietro un grande pugile c’è il lavoro di un team di persone..

Si, assolutamente. Oggi siamo una squadra numerosa composta dai Maestri, il preparatore atletico, il nutrizionista, il fisioterapista e ognuno ha un suo ruolo. È impossibile trovare tante specializzazioni in un’unica persona, quindi è importante fare squadra e quando si è sul ring, pur essendo da soli, dietro c’è un lavoro molto importante di un’intera equipe. Sarebbe anche il caso di riuscire a portare questo a tutti i livelli, non solo a quelli più alti. Qui i Maestri si danno da fare e seguono da vicino ogni ragazzo nuovo che entra in palestra. 

Nel 2016 hai conquistato il titolo di Campione del mondo nella categoria pesi supermedi. Quanti sacrifici ci sono stati dietro questa vittoria?

In effetti la gente non immagina il sacrificio che c’è stato dietro la conquista del titolo. Sono innumerevoli le prove che una persona deve superare e oggi, poter dire ad un ragazzo che si avvia verso questa professione che veramente l’impegno paga sempre, dopo che ci sei passato tu, è qualcosa di bello ed è importante che loro lo capiscano.

Come ti fa sentire aver raggiunto il massimo traguardo nel tuo settore, di essere entrato a far parte della storia del pugilato? 

La cosa che mi fa stare meglio di tutti è l’aver raggiunto un obiettivo credendoci veramente fino in fondo, nonostante non fossi uno di quei ragazzi su cui si concentravano questo tipo di aspettative. Per me e la mia squadra è stato un doppio risultato, che mi fa sentire orgoglioso,  l’aver conquistato il titolo mondiale nel momento in cui cadeva il centenario della Federazione (ndr la Federazione Pugilistica Italiana).

Disputerai il 15 maggio, in Inghilterra, il match per il titolo europeo dei Supermedi contro lo sfidante inglese Lerrone Richards. Come ti stai preparando a questo incontro? È un appuntamento molto atteso e, se vogliamo anche simbolico tornare sul ring, dopo questo anno complicato?

Si, è un anno e mezzo che sono lo sfidante ufficiale: ho cambiato cinque avversari durante il percorso. Mi sono sempre allenato, ma non avendo combattuto mi rendo conto come sia difficile per un atleta stare tanto tempo lontano dal campo di gara e farsi trovare al 100%. Sarà un’ulteriore sfida. L’inglese è un ottimo pugile, si allena molto bene e noi stiamo facendo altrettanto, lo abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo. Oltre ad essere meticolosi, i Maestri mettono tanta passione nel lavoro e la voglia che ho dentro ci fa essere ottimisti. Mancano poche settimane e i lavori procedono bene, come da programma. Il periodo è davvero difficile, ma non ricordo quando sia stato semplice a dir la verità.

La boxe, oltre al lavoro su sé stessi, prevede un grande studio dell’avversario. Come ti prepari solitamente per affrontare una competizione? Hai qualche rituale?

Non sono scaramantico. Le cose che faccio per prepararmi le eseguo da un punto di vista “scientifico”: studio l’avversario, le sue movenze, punti forti, punti deboli. Non ho dei rituali per stare più tranquillo, utilizzo dei metodi, come la corretta respirazione, allenarmi o affrontare mentalmente la situazione di stress, a prescindere dal tipo di combattimento. Sono estremamente attento ai dettagli, è proprio una mia passione, il cercare di migliorarsi sempre. A volte si sbaglia e a volte si fanno le cose fatte bene.

Il pugilato è uno sport che richiede grandi sacrifici, sia a livello di allenamento fisico, che di concentrazione mentale. Per un ragazzo che si accinge a fare questo sport, quali caratteristiche deve avere un pugile?

I ragazzi non devono avere una caratteristica precisa, deve essere bravo il maestro a riconoscere la strada che vorrà intraprendere. Io quando sono entrato in palestra ero timido, non parlavo molto. Ho conosciuto ragazzi più esuberanti, che avevano bisogno di essere calmati, quindi non c’è una caratteristica. Questo sport è bello e spesso viene scelto come metafora di vita perché, a prescindere da quello che sei, riesce a plasmarti, ad aiutarti a trovare la giusta strada. È un buon modo per conoscere sé stessi, le proprie paure e i propri limiti, a prescindere se si diventerà pugili professionisti o meno.

Oltre che atleta, sei anche allenatore della palestra Next di Monterosi. Che consigli dai ai giovani che si apprestano ad intraprendere questo sport?

Cerco di aiutarli perché mi rivedo in loro e se posso contribuire ad arricchire il loro percorso, la cosa mi fa stare bene. All’inizio, nel 2007, ho iniziato a lavorare in palestra, studiando come allenatore, perché mi sono reso conto che la boxe mi piaceva talmente tanto che ne avrei parlato sempre, nonostante gli allenamenti mi lasciassero poco tempo libero, sono riuscito a conciliarli con le lezioni. Questo mi ha permesso negli anni di crescere anche come pugile e nel 2008 ho aperto la mia prima palestra di pugilato. I miei maestri mi hanno ispirato e quello che sono oggi lo devo a Italo Mattioli e Luigi Ascani.

Hai un forte seguito sui Social (ndr oltre 60.000 follower IG) e sei protagonista della campagna social della Federazione Pugilistica Italiana #InFormaConLaBoxe.
Ritieni utile l’utilizzo delle tecnologie per comunicare la passione per la boxe?

I Social Network oggi sono un’arma a doppio taglio: permettono da un lato di diffondere la passione per il pugilato, ma dall’altra parte sono negativi quando fanno vedere soltanto l’arrivo e i ragazzi percepiscono un messaggio non veritiero. In realtà, bisognerebbe raccontare tutto quello che c’è dietro, proprio per far rendere conto tutti del fatto che i sacrifici fanno parte del percorso e che poi ti portano al miglior risultato, non sempre alla vittoria, ma al raggiungimento di un obiettivo. I Social sono uno strumento importante, che però deve essere ben gestito. Io lo gestisco in prima persona, ci si può rivolgere ai professionisti, per affinare la tecnica o grafica, ma l’importante è il contenuto.

 

A tuo parere come è percepito in Italia questo sport e che consigli avresti per aumentarne la diffusione?

Le cose stanno migliorando. Proprio attraverso i Social, la Federazione e gli atleti si stanno facendo conoscere di più. Non stiamo procedendo ancora a pieno regime, perché ci vorrebbe un media più grande, come la tv e nuovi contenuti per avere un seguito sempre maggiore.

La presenza femminile in questo sport è aumentata?

La situazione è cambiata, non è più uno sport solo per uomini. Le palestre sono piene di atlete e la Federazione Italiana ha ottenuto ottimi risultati con le atlete donne che sono ultra competitive a livello internazionale. Anche a livello amatoriale, tante ragazze si avvicinano a questo sport, fin da piccole.

Il tuo percorso è molto legato a Roma e alla palestra della Montagnola. Sarebbe importante ricevere un riconoscimento dal Comune per incentivare il pugilato?

I riconoscimenti sono importanti per far conoscere alle persone alcune realtà, ma il riconoscimento più grande è vedere che i ragazzi siano contenti di trovare una loro strada attraverso lo sport e che si impegnino a diventare uomini, prima che campioni. Il Comune si potrebbe accorgere di questo dandogli ancora più spazio, che si traduce in più ragazzi che possano avere possibilità di costruire il proprio percorso.


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